“Mangiamo più con la testa che con la bocca”
Il comportamento alimentare è caratterizzato da un fattore molto importante: il suo elevato valore simbolico.
L’atto del “mangiare” e del “nutrirsi”, infatti, non si esaurisce solamente nella sua funzione nutrizionale, biologica e fisiologica di risposta ad un bisogno, quello della fame.
In effetti può essere considerato anche come atto di comunicazione e di espressione di Sé. In particolare, in alcuni studi di psicologia sociale è emerso come
In tutto ciò la cultura ha un ruolo importante: influenza le nostre scelte alimentari, condiziona la disponibilità degli alimenti e le pratiche/abitudini legate al loro consumo.
Per queste ragioni possiamo pensare all’atto del mangiare come ad un processo psicologico che:
Nelle situazioni in cui si osservano delle significative variazioni e alterazioni delle abitudini legate al cibo e all’alimentazione, può esserci una sorta di “inceppamento” riguardo alla dimensione del controllo.
In che senso?!
Beh, ovviamente tutti noi cerchiamo di controllare la nostra vita, lavorativa, sociale, relazionale e affettiva. E’ comune.
Tuttavia, dobbiamo poter essere consapevoli del fatto che il controllo della realtà non può essere assoluto, e dobbiamo saperlo accettare. Quando, viceversa, una persona non è capace di accettare il suo grado di controllo imperfetto (imperfezione in sé normale), questa sua incapacità la rende perennemente sopraffatta dall’impressione di non riuscire a governare né gli eventi né le sue stesse reazioni, contribuendo a generare sentimenti di disagio, inadeguatezza, malessere, infelicità. Paradossalmente, il sentire di non avere il controllo può, in alcune persone, portare ad azioni che sono delle tentate soluzioni per cercare in tutti i modi di esercitare, e sentire, quel controllo di cui hanno così bisogno.
Ovvero: nel tentativo di esercitare e mantenere il controllo, lo si perde.
Le modalità con le quali questo può avvenire sono molteplici.
I disturbi alimentari, particolarmente nelle situazioni di anoressia e bulimia, diventano quindi simbolici: non solo per l’ossessione verso il cibo o l’aspetto corporeo, ma più ancora per
Altre volte l’angoscia di non riuscire a controllare la realtà, la tensione individuale a realizzarsi e svilupparsi, può generare una modalità di iper-alimentazione (nei casi di obesità), per esempio quando si percepisce di non riuscire a controllare l’ansia, l’angoscia determinate dall’esigenza di dover riuscire a mantenere lo stesso controllo che poi si perde.
Un aspetto importante da non tralasciare è che tali problematiche sono accompagnate da una drastica riduzione della qualità di vita, restringendo la sfera d’interessi del soggetto al cibo, al peso ed ai rituali ad essi collegati.
Vediamo bene, quindi, come l’insieme di situazioni che vengono raggruppate sotto il nome di “Disturbi Alimentari” sia caratterizzato da un’elevata complessità, accentuata ulteriormente dal fatto che le varie situazioni sono da ricondursi a “storie personali”, pertanto uniche.
In tal senso, pensare ad un percorso di cura focalizzato esclusivamente sul sintomo alimentare può rappresentare una scelta operativa fuorviante, in quanto rischia di nascondere l’ampio quadro legato alla specifica storia personale di chi abbiamo di fronte.
Una diagnosi che parte dai sintomi segnala, infatti, chiaramente, che “qualcosa non va”. Tali sintomi, tuttavia, non ci danno di per sé alcuna indicazione né sul perché venga espresso questo "qualcosa che non va", né sul motivo per cui si sia manifestato in un determinato modo.
Per tali ragioni, pensare ad una più “allargata” prospettiva, di tipo multifattoriale, che tenga conto dei diversi aspetti bio - psico - sociali, può rappresentare una via più funzionale.
Sebbene, è opportuno dirlo, non esista ad oggi un "unico e solo modo valido" per aiutare le persone con disturbi della sfera alimentare a recuperare uno stile di vita funzionale al proprio benessere psico-fisico.
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